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La bara di Matteo Messina Denaro lascia l’Abruzzo con il peso di tanti misteri e segreti

Seppellito senza funerale il boss, detenuto dopo l’arresto a L’Aquila

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All’alba di oggi, mentre la tenue luce del primo sole timido iniziava a scacciare le tenebre della notte, è avvenuto un tramonto. Può sembrare un paradosso, o un errore, ed invece così è stato. Il tramonto di una stagione criminale italica, il tramonto definitivo di un boss simbolo di Cosa Nostra. Alle prime luci dell’alba a Castelvetrano è stato seppellito Matteo Messina Denaro, il boss mafioso detenuto a L’Aquila. Matteo Messina Denaro è morto portandosi nella bara il peso di tanti misteri e segreti, di trame e stragi. 

Cosa sarà ora di Cosa Nostra, quali nuovi equilibri, quali ascese ci saranno sarà materia del futuro. Il ruolo e il peso negli ultimi anni del boss è materia controversa e per qualcuno non era già più quel che è stato dopo Riina e Provenzano. Già quattro anni fa un’inchiesta documentò che c’era chi stava cercando di ricostruire la commissione mafiosa. Era l’anno in cui, proprio qui in Abruzzo, soggiornò il terzogenito di Totò Riina. Poi finito in Romania e quasi sparito dai social. Di quei mesi rimangono ormai ben poche tracce in alcuni articoli della stampa nazionale e nell’indignazione di ben pochi cittadini per pubblicazioni e prese di posizione. Sono passati più di trent’anni dalle stragi sul “continente” e, prima ancora, di Capaci e Via D’Amelio. Le mafie si sono evolute, si sono espanse, hanno mutato pelle diverse volte. Gli anni di Cosa Nostra, punto di riferimento unico o quasi della mafia siciliana, della Nuova Camorra Organizzata e della Sacra Corona Unita sono stati seguiti dall’ascesa delle mafie dell’est, nigeriane, dall’ascesa della ‘ndrangheta, delle mafie foggiane e pugliesi, delle ecomafie, da una finanziarizzazione sempre più marcata. La plastica realizzazione delle parole profetiche di Pippo Fava ad Enzo Biagi e dell’avvertimento di Giovanni Falcone sulle mafie che entravano in Borsa. Quali sono stati tutti gli appalti hanno arricchito e donato potere ai Corleonesi, era uno dei fascicoli più pesanti sulle scrivanie della Procura di Palermo dei tempi di Falcone e Borsellino, e quali si sono succeduti dopo? Tantissime le inchieste della magistratura nei decenni ma piena luce, come non c’era stamattina mentre Messina Denaro veniva seppellito, probabilmente non c’è mai stata. Sono passati più di trent’anni e si sono succeduti scandali, cerchi magici e vicende imbarazzanti e non certo edificanti anche tra coloro che dovrebbero essere l’opposizione alla criminalità organizzata. Saguto e Montante sono nomi, è cronaca giudiziaria degli ultimi dieci anni, che oggi sono considerati rappresentanti di un mondo tutt’altro che aderente al “fresco profumo” di cui parlava Falcone. E sono arrivate anche condanne, altre (prescrizioni e “ritardi” permettendo) dovrebbero arrivare.

Messina Denaro è morto e nella bara si porta il peso di mille segreti, di tante vicende su cui non c’è luce, verità e giustizia. Prima del giorno dell’arresto di quest’anno l’ultima traccia della sua voce era stata ritrovata dalla giornalista del tg1 Giovanna Cucé, testimonianza in un processo del boss. Che poi sparì, inabissato per trent’anni. Quell’audio fu ritrovato nell’ambito delle inchieste giornalistiche, poi confluite nel libro “Io sono Rita. Rita Atria, la settima vittima di via D’Amelio”, sulla morte di Rita Atria. Quella morte che fu liquidata come suicidio all’epoca ma su cui tante ombre permangono. Indagini troppo frettolose, errori documentali, mancanza di qualsiasi traccia biologica (persino in bagno) nell’appartamento, un orologio maschile trovato sempre nell’appartamento romano, la tapparella non del tutto aperta, una protezione che appare inadeguata alla tutela della sorte di Rita Atria. Un esposto è stato presentato da Goffredo D’Antona, legale dell’Associazione Antimafie Rita Atria, per chiedere la riapertura delle indagini.

Le stragi del 1992-1993 hanno avuto morti successive ai giorni degli attentati. Stagione conclusa con il mancato attentato allo Stadio Olimpico di Roma,  altro episodio su cui dubbi e interrogativi permangono. Tra i “morti successivi” il maresciallo Lombardo e Luigi Ilardo, infiltrato dopo aver scontato la condanna penale con l’obiettivo di portare all’arresto di Provenzano. Si era quasi arrivati all’obiettivo e Ilardo fu assassinato. Se non fosse stato assassinato lo Stato avrebbe arrestato Provenzano dieci anni prima, quante morti sarebbero state evitate? Quali altri successi e quante verità sarebbero state scoperte? Sono domande che rimangono insolute, pesi che continuano ad incombere. Come quelli che Messina Denaro si è portato con lui nella tomba dopo aver lasciato l’ospedale aquilano.   

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