Ricorre oggi il quarto centenario dell’arrivo degli Osservanti Minori nel convento di S. Panfilo extra moenia di Spoltore, monumento ricco di storia ed arte e simbolo della Terra dei cinque borghi.
La storia
Al termine della cerimonia di conferimento ai Francescani dell’immobile appena ristrutturato, il 16 febbraio del 1617, alla presenza delle autorità cittadine, del nuovo prevosto D. Alessandro Ianni, del padre guardiano del convento di Sant’Angelo in Lanciano, abituale predicatore quaresimalista nella Terra dei cinque borghi, una famiglia di 12 frati dell’Ordine francescano prende possesso del monastero. Non è l’unico fatto rilevante della giornata: l’apertura del convento pone fine anche alla lunga controversia provocata più di una decina di anni prima dal prevosto D. Alessandro Toppi con il trasferimento nella chiesa di S. Maria della Porta e S. Antonio, all’interno della muraglia cittadina, della Prepositura, che l’Abate di Picciano, ordinario della Chiesa di Spoltore, per ben 465 anni si era sempre rifiutato di autorizzare. Il contrasto era stato superato, infatti, grazie a due iniziative suggerite dal prelato spoltorese: la proclamazione di S. Panfilo nuovo protettore della città al posto di S. Antonio abate e l’edificazione a spese dell’Università di un convento da affidare agli Agostiniani. L’intesa era stata sancita nel 1612 con la charta concessionis sottoscritta dall’abate olivetano Gisoni, da D. Alessandro Toppi e dalle autorità comunali con la quale il vecchio immobile passava di proprietà del Comune.
La condizione di affidare il convento agli Agostiniani, tuttavia, non sarà mantenuta per volere della comunità dei fedeli, i quali avevano perorato ed ottenuto l’affidamento proprio a favore degli Osservanti Minori.
Con l’ingresso dei frati mendicanti dell’Osservanza S. Panfilo fuori le mura vive la terza fase della sua storia (in precedenza era stata grangia benedettina oltre che Prepositura cittadina), quella conventuale: questa si protrarrà, tra alterne vicende per 249 anni, fino al 1866, anno nel quale, con l’estensione all’intero Stato unitario delle leggi eversive piemontesi sui Beni ecclesiastici, il monastero sarà soppresso e l’intero immobile trasferito prima al Fondo culto e due anni dopo al Comune di Spoltore.
I costi di manutenzione del monastero creano difficoltà insormontabili alle finanze comunali. Nel 1891 l’Amministrazione comunale decide l’alienazione dell’intero patrimonio conventuale: affida in perpetuo la chiesa alla Congregazione di S. Maria del Suffragio e l’anno dopo vende per 20.000 lire in buoni del tesoro la casa del clero alla famiglia Cerulli Irelli.
S. Panfilo gipsoteca barocca
L’adozione del Barocco come stile più adatto alle pratiche di pietà del periodo postridentino è la scelta che maggiormente contraddistingue il periodo francescano in S. Panfilo fuori le mura. Il materiale prevalentemente usato è lo stucco per cui si ritiene che la chiesa sia una delle gipsoteche più ricche del Mezzogiorno d’Italia.
Notizie indirette segnalano i primi interventi di adeguamento del corredo decorativo già intorno alla prima metà del Seicento. Ignoto l’autore dell’altare dedicato a S. Antonio di Padova, che indubbiamente appartiene ad un barocco più antico. Sono invece attribuiti ai frati artigiani marangoni i due altari lignei centrali delle navate esterne: l’altare dell’Immacolata, eretto dopo il 1660, e quello della Madonna degli Angeli o della Porziuncola.
Successivi al terremoto dell’Aquila (1703) e di Sulmona (1806) i rifacimenti degli altri altari laterali decorati tutti a scagliola. Nomi dei mecenati e tempi sono scanditi dalla cronologia della datazioni. Gli ornati ed alcuni altari sono attribuiti a Gian Battista Gianni o alla sua bottega (altare maggiore, altare di S. Michele arcangelo), i medaglioni affrescati sui pennacchi a Giovan Battista Gamba, il quadrilobo dell’abside a Donato Teodoro.
Le storie francescane affrescate nel chiostro
Quasi nello stesso periodo nel quale adeguano l’arredo decorativo della chiesa di S. Panfilo fuori le mura allo spirito dei Francescani, i frati collocano nel monastero uno dei quattro “conventi di noviziato con studi di Filosofia” della Provincia abruzzese: la scuola annessa a S. Panfilo fuori le mura è di secondo livello, destinata cioè ai professi che, pronunciati i primi voti, sono avviati ad un noviziato più severo detto volgarmente «Professorio».
Anche il chiostro viene adeguato ad ambiente formativo delle nuove generazioni di frati e reso aula di riflessione spirituale e umana all’aperto. Un ignoto artista, o forse più di uno (le differenti tecniche usate fanno pensare a più mani), copre le precedenti lunette celebrative della vita di S. Francesco di Paola già deteriorate dal tempo e dall’uso errato della tecnica degli affreschi, con storie francescane di maggiore impatto sulla sensibilità dei professi.
Nella speranza di preservarle, la famiglia Cerulli Irelli da alcuni mesi ne ha affidato il recupero conservativo ai restauratori dell’Accademia di Belle Arti de L’Aquila.
Nel 1912 la facciata della casa conventuale cambia aspetto
A venti anni dall’acquisto della casa conventuale, la famiglia Cerulli Irelli incarica Ernst Wille (1860 – 1913), un architetto di origine berlinese stabilitosi da tempo a Roma, di ridisegnarne la facciata e di raccordarla con quella quattrocentesca della chiesa. Wille progetta la trasformazione dell’ex cenobio in un fortilizio con accentuate caratteristiche di stile tardo gotico. Colloca sulle numerose piccole finestre della facciata l’arco a sesto acuto; apre un balconcino al centro del secondo piano; inserisce sopra l’ingresso al chiostro un frontone a tutto sesto e una veranda e all’angolo superiore destro della facciata una grossa altana; orna il frontone con una serie di merli guelfi; decora, infine, balconi e logge con fregi in pietra dura incisi dai maestri artigiani di Manoppello. Ai lati dell’ingresso principale l’architetto berlinese realizza anche due sedili in pietra: è il suo modo di accogliere gli ospiti che bussano alla casa, quasi un invito ad un salutare riposo in attesa dell’apertura della porta, un accessorio irrinunciabile della sua idea di abitazione borghese ripetuto in quasi tutti i progetti delle ville del parco di Villa Patrizi a Roma.
Le foto sono di Andrea Morelli