“Un giorno, quando credetti che la mia vita e la mia persona fossero andati in frantumi, accettai finalmente l'esistenza della psiche, che fino a quel giorno avevo negato come un ateo fa con l'idea di entità divina superiore. Prima andai in terapia da ‘paziente’ (o ‘utente’, come qualcuno propone), e poi mi iscrissi ad un corso quadriennale di musicoterapia. Era il 2002, la mia primogenita era appena nata, il matrimonio (quello si) era (s)finito e c'era ancora la lira. Posso dire però che quei giorni furono un momento di ‘svolta’, per me”.
È l’esordio di un cambiamento per Massimo Mucci, residente a Villanova di Cepagatti, che ha fatto della musica la sua più grande risorsa di vita ed interiore, intraprendere studi riguardanti la psicologia obbliga chi lo fa ad un “lavoro” su stessi, dove le difese più usate dalle persone comuni devono via via saltare, per lasciare spazio a consapevolezze vere ed oneste, ed è questa analisi la parte probabilmente più difficile, perché non si tratta di “studiare” dei libri.
Negli ultimi anni c'è stato un proliferare di “terapie” psicologiche; tutto, ad un certo punto, può divenire “terapeutico”. Ma che vuol dire, ciò realmente? Ci sono tante cose che possono produrre un benessere, anche reale, nelle persone, ma bisogna capire qual è il senso di una terapia.
“Comunemente una terapia, di qualsiasi tipo, si mette in atto quando si sta male e si vuole ‘guarire’: già su queste due semplici parole potremmo affondare, applicandole all'ambito psicologico. Basti pensare che negli Stati Uniti, dove la “cultura” psicoterapeutica è molto più avanti che da noi, da qualche anno ci si fa aiutare dal filosofo, e non più dallo psicologo perché sul concetto di ‘star male’ interiormente, gli oltre 100 anni da Freud ad oggi non hanno portato chiarezza”.
Ci si interroga anche sul termine “guarire” allora, e come spiega Mucci:
“Se cercassimo di pensare a questo termine come quando ci viene l'influenza, e se la ‘guarigione’ fosse un 'ritorno' ad una condizione precedente alla patologia, saremmo totalmente fuoristrada; con la psiche delle persone la ‘guarigione’ non è mai un ritorno ad una condizione precedente quindi l'essere umano è chiamato a prendersi cura di se interiormente: questo è il concetto che sfugge alla maggior parte delle persone”.
La musicoterapia, o meglio alcuni dei “percorsi” che si possono fare con il suo aiuto, è realmente una delle possibilità che oggi ha un individuo per non “trascurarsi” interiormente; da un’onesta introspezione scaturiscono percezioni, emozioni, eventuali consapevolezze, che comunque tengono l'individuo in una condizione di fluidità spirituale/emotiva, funzionale ad un'esistenza umanamente sana.
“La musica, però - spiega Mucci - è semplicemente un’espressione imprescindibile dell'essere umano, dal primo uomo primitivo che cominciò a battere le mani (primo strumento musicale della storia) guardando un suo simile che stava ballando; la musica ‘esprime’l'umano, gli permette di ‘meta-comunicare’, come ogni altra forma d'arte ma perché ha un ‘potere’ diverso dalla pittura o dalla scultura o dalla letteratura? Non potendo realmente ‘descrivere’nulla, ma solo richiamare emozioni, è realmente più potente di un dipinto per esempio, che inevitabilmente si auto-definisce. In un ascolto musicale ogni individuo può realmente ‘vederci’ ciò che vuole, anche in modo diametralmente opposto alla visione di un altro. Ma la vera magia della musica è che essa è la migliore metafora della vita stessa”.
Tutte le altre opere che stanno su tela, o carta, o pietra, restano disponibili e fruibili perennemente, l'opera musicale no: “per esistere la musica deve nascere in un'esecuzione che si dipana nel tempo, istante per istante, con ogni suono che esiste solo nel suo istante, prima di essere sostituito dal successivo, in un dipanarsi inesorabile e necessario alla sua esistenza, prima di volgere al termine e morire”.
Secondo Mucci, proprio come un essere umano, che per la sua esistenza, per il suo agire e programmare, ha bisogno di ‘svolgersi’ nel tempo, che inesorabilmente ‘scorre’ verso il suo finale, la composizione musicale è la migliore e più magica metafora della vita, offrendo anche, nel poter ‘ripetere’ un'esecuzione tutte le volte che si vuole, l'irresistibile illusione della sconfitta della morte, di una ‘immortalità’, e di un'altra vita possibile.
La musica può quindi essere usata, oltre che nei consueti modi quotidiani, anche all'interno di “percorsi” terapeutici, mirati a vari obiettivi: recupero/mantenimento di un benessere interiore della persona, miglioramento delle sue capacità relazionali con gli altri, e non solo.
“Possiamo schematizzare ciò in musicoterapia attiva e musicoterapia recettiva che poggiano su princìpi molto diversi, ma se volessimo essere precisi, la 'vera' musicoterapia potrebbe essere solo quella 'attiva'- prosegue. - Nella musicoterapia attiva si suona. Essa è stata ideata per prima, e pensata per intervenire su bimbi (inizialmente solo disabili, ma poi si sono studiate modalità ulteriori, forse ancora più efficaci, come 'prevenzione' nei bimbi 'normodotati'). Ma come si fa a far ‘suonare’ chiunque vada in musicoterapia? Semplice: con gli strumenti degli uomini primitivi: le percussioni”.
E allora ci si chiede anche: perchè suonare attivamente delle percussioni gioverebbe ad una persona?
“Tutte le varie risposte possibili sarebbero troppe, per me - spiega l’esperto - la mia risposta è legata ai princìpi di psicosomatica, al concetto di reale comunione fra mente e corpo, ed alla possibilità di curare la prima attraverso il secondo. In che modo avverrebbe questo? I ritmi binario e ternario (cioè le tipologie ritmiche di base) sarebbero legati ai concetti di archètipi paterno e materno, e siccome gran parte dei “disequilibri”esistenziali/relazionali di un individuo potrebbero essere fatti risalire al suo rapporto con questi due archètipi, con la pratica delle percussioni, in un rapporto terapeutico fra paziente e musicoterapeuta, si potrebbe andare ad agire su detti “disequilibri”, attraverso il corpo che attivamente suona le percussioni (e qui le competenze musicali da possedere dal musicoterapeuta sarebbero necessarie, rispetto ad uno psicologo, anche se solo da un punto di vista ritmico)”.
La musicoterapia recettiva è nata dopo:
“In questo caso la musica viene solo ascoltata, e quindi è necessario affiancare una pratica più vicina ad una ‘terapia della parola’. Ci si avvicina molto ad una psicoterapia ‘convenzionale’, ma per quanto riguarda la mia scuola, essa si avvale di protocolli strutturati in poche sedute (il novero è quello delle terapie brevi, dalle 10 alle 20 sedute al massimo), utilizzando principalmente lavori di ‘visualizzazioni’da svolgere comunque col paziente in stato di veglia (ovviamente)”.
La musica viene usata sulla base di classificazioni emozionali, oltrechè archetipiche:
“Si tratta, di un percorso di autocoscienza da parte del ‘paziente’, che può davvero ‘sviluppare’ la propria persona, emotività, e capacità di rapportarsi alla vita e agli altri, in modo migliore”- conclude Mucci.