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Psicologia per te: Madri che allattano smartphone

Quanto può influire l’avvento della nuova tecnologia nel primo rapporto madre-figlio?

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Oggigiorno questi apparecchi tecnologici stanno prendendo sempre più piede nelle nostre case e nelle nostre vite, tanto da riempire ogni momento morto della nostra giornata. Si passa infatti molto tempo con la testa china e il pollice poggiato sullo schermo del nostro smatphone, per scorrere le pagine dei social, scaricare l’app più cool o leggere un articolo on-line.

Fin qui nulla di male, a patto che quel tempo non lo si sottragga ad attività molto importanti, quali possono essere l’allattamento e le prime interazioni con il proprio figlio.

Non parlo infatti di bambini “già grandi”, ma di pargoletti nati da poco, che vivono ancora in simbiosi con la madre e che hanno bisogno di essa per svilupparsi fisicamente e psicologicamente. Questi due tipi di sviluppi sono infatti le pietre miliari per i primissimi passi della vita di ognuno di noi, dei quali non possiamo fare a meno per raggiungere un ottimale equilibrio psicofisico.

Certo si potrebbe pensare che già il semplice assolvere a questi compiti rappresenti la situazione auspicabile per il corretto sviluppo del bambino, ma questo non è proprio corretto.

Pensiamo a quante emozioni entrano in gioco durante l’allattamento, quanto il bambino provi piacere nella suzione e quanto la madre si senta “madre” nell’offrire il suo nutrimento alla sua creatura. Quanta alchimia presiede in questo semplice gesto dalle radici arcaiche che da la vita, eppure esistono delle interferenze esterne che ne minacciano la pienezza emotiva.

Gli occhi della madre sarebbero assorti e catturati da quel piccolo miracolo che stringe tra le sue braccia, se solo non avesse quell’aggeggio infernale sempre in mano e che sembra catturarne continuamente l’attenzione. Ebbene quello che rappresenterebbe un gesto carico di amore, quale l’allattamento, potrebbe trasformarsi in una routine meccanica dalla quale il bambino otterrebbe solo un misero contenimento fisico. Sì solamente fisico, in quanto per quello emotivo servirebbe una donna attenta ai bisogni emotivi e di reciprocità del bambino, ma quello schermo rettangolare è troppo interessante per prestare attenzione allo sguardo del figlio.

Un quadro che lo psicoanalista Donald Winnicott chiamerebbe “madre non sufficientemente buona”, ovvero una madre incapace di fornire cure al bambino in maniera creativa, senza adattarsi alle sue richieste e soprattutto che assolva i suoi compiti di madre in maniera meccanica e priva di connessione empatica con il bambino. Questa è solo una mera ipotesi, in quanto Winnicott estende il suo concetto di “madre sufficientemente buona” a diversi fattori e a diversi ambiti, vedendola come una madre, questa volta, dotata della cosiddetta “preoccupazione materna primaria”, ovvero quella capacità di offrire al bambino le cure di cui ha bisogno per soddisfarne i bisogni. Soddisfare tutti i bisogni del bambino potrebbe risultare impossibile, in quanto a volte non sono così chiari ed è proprio per questo che Winnicott conia il termine di “madre sufficientemente buona” in quanto capace di prendersi cura del figlio, ma non essere al contempo perfetta. Sarebbe proprio tale imperfezione a generare nel figlio qualche sana frustrazione capace di permetterne l’uscita da ciò che è l’onnipotenza infantile (nella quale il mondo esterno è vissuto come propria creazione) dalla quale il bambino cerca di distaccarsene nella fase di dipendenza relativa. Il bambino pertanto, secondo questo psicoanalista, percorrerebbe due tappe fondamentali di dipendenza con la madre.

La dipendenza assoluta si verificherebbe nel primo semestre di vita, dove il concetto di “preoccupazione materna primaria” sarebbe fondamentale per offrire al bambino gli strumenti e il supporto emotivo per prepararlo alla tappa successiva, ovvero la dipendenza relativa. Proprio in questa seconda fase il bambino inizierebbe a rendersi conto del mondo esterno distaccato da sé e delle cure materne volte a soddisfare i suoi bisogni. Non si tratterebbe di cure solo di carattere fisico, altrimenti si incapperebbe nella meccanicità espressa da una madre che allatta il bambino guardando altrove e chissà, forse, verso il suo smartphone. Con questo certo non voglio squalificare tutte quelle madri che allattano guardando ogni tanto il proprio cellulare o la tv, in quanto a volte essere “madri” può diventare pericolosamente routinario nei primi mesi dal parto. Giorni passati in simbiosi con il proprio figlio, controllandogli il pannolino e dandogli la pappa. Sempre quelle solite quattro mura che oramai i suoi più grandi amici sono la TV e lo smartphone.

Dura la vita della neo-mamma e sto volutamente omettendo le notti in bianco e le ore passate a calmare il proprio figlio, così che il guardare lo smartphone mentre si allatta non sembra poi un così grave errore, e forse non lo è, ma attente neo-madri non ne abusate troppo, altrimenti lo diventerà.

contatta il dottor Visco

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